Siracusa – Sul caso del brutale assassinio di Luca Varani, il 23enne ucciso nei giorni scorsi in un appartamento al Collatino da Manuel Foffo e Marc Prato, due giovani di 30 anni della cosiddetta Roma bene che hanno poi confessato l’omicidio spiegando di averlo commesso “solo per vedere l’effetto che fa” interviene la dottoressa Margherita Spagnuolo, psicoterapeuta e direttore dell’Istituto di Gestalt HCC Italy.


L’ANALISI - “A generare assassini come quelli di Roma che uccidono per vedere l’effetto che fa non è più il sonno della ragione, come quando si uccide per forte odio o desiderio di rivincita, ma il sonno degli affetti e l'anestetizzazione delle emozioni: è cambiata la relazione genitori-figli; il corpo è il grande dimenticato dei nostri tempi e non conosciamo più né abbracci né contatti umani. L'altro non esiste se non per risolvere i nostri bisogni e uccidere dà ai giovani il senso di essere al mondo”, è questa l’analisi della dottoressa Margherita Spagnuolo.


PERCHE’ SI UCCIDE - “Uccidere una persona non è mai giustificato, ma siamo abituati a pensare all'omicidio come a un evento in cui le motivazioni sono forti emozioni di odio o desiderio di rivincita. In questo caso siamo di fronte a un omicidio attuato con una superficialità e una crudeltà che non appartengono all'essere umano”, dice l’esperta: “Ma come si può arrivare a tanto?”.


IL CAMBIAMENTO DELLE RELAZIONI UMANE – Da anni assistiamo a un cambiamento delle relazioni umane che ha portato a una diffusa disappropriazione della condizione umana. “Prima di tutto sono cambiate le relazioni primarie: i genitori dei giovani di oggi sono stati troppo distratti, preoccupati e in ansia per la crisi, per l'incertezza sociale, hanno presupposto che i loro figli potessero crescere da soli, li hanno sedati con la play station e le chat”, prosegue la dottoressa Spagnuolo Lobb.


“L'eccitazione che ogni bambino ha verso il mondo, e che ha bisogno di essere accolta e spiegata da un adulto che gli vuole bene, è diventata per questa generazione ansia, energia vuota da nascondere a se stessi. Spesso la vita per questi giovani è una farsa, un video gioco a cui bisogna giocare senza sapere se si vince o si perde, che non dà alcuna risposta sulla propria identità. Questo disagio si ripercuote a livello profondo, soprattutto nel sentimento del sé corporeo. Il corpo è il grande dimenticato dei nostri tempi: il sentire corporeo che può venire da un abbraccio non esiste più. Questo è già un grave problema sociale, molto diffuso. I bambini stanno molto poco con i genitori, vanno presto al nido, e il genitore non può lasciarsi coinvolgere a fondo dal mondo del bambino. Quando arriva a casa, potrebbe sentirsi estraneo o incapace. Le ansie dei bambini piccoli, spesso risolte con psicofarmaci, i disturbi d'ansia e gli attacchi di panico, la depressione sono tutte manifestazioni della follia dei nostri tempi. L'ansia si annida sin da piccoli e poi rende difficile adeguarsi alle regole sociali e ai compiti della vita, alle relazioni che costruiscono le storie, alla vita di coppia, alla generazione di un figlio. Tutto resta non sviluppato, non ‘gettato nella vita’, ognuno pensa di avere ragione, l'altro non esiste se non per risolvere i nostri bisogni, perfino il bisogno di ‘uccidere’. Questi delitti, a cui assistiamo da anni ormai, ci urlano il bisogno che i giovani hanno di essere riconosciuti, di essere protagonisti”.


CHE COSA SCATTA NELLA TESTA DI CHI UCCIDE? – “Il bisogno di scaricare un'energia vagante, mai contenuta nelle relazioni: uccidere, come gettare i sassi dal cavalcavia colpendo le macchine che passano, dà il senso di esserci” dice la psicoterapeuta. “I giovani sono attratti dal protagonismo, dalla possibilità di esserci per qualcuno. E siccome i grandi non sono più abbastanza autorevoli da opporre regole sociali forti, la loro ansia diventa energia senza confini”.


IL RUOLO DEI MEDIA – “A volte rimango disgustata da programmi televisivi, molto seguiti soprattutto da giovani, in cui ci sono sfide e valutazioni date umiliando chi compete”, dice l’esperta. "’Ti sei accorto di non saper fare nulla?’, ‘La prossima volta, se sei capace, pensa che hai fatto un grosso errore!’ sono i commenti che vengono fatti ai concorrenti. Ho visto persone piangere davanti a queste umiliazioni, e chi guarda questi programmi è quasi eccitato dalle critiche. Siamo tornati indietro di secoli, viviamo una continua corrida, che crea ansia e desiderio di vendetta. I mass media dovrebbero capire il pericolo che la società sta correndo, e creare programmi televisivi basati sulla comprensione reciproca e sui sentimenti, il cui riconoscimento è la base per il rispetto umano. I ragazzi che seguono quei programmi sono ragazzi soli, che cercano la forza e un motivo per emergere, e lo trovano nell'umiliare l'altro”.


COME PREVENIRE CASI SIMILI – “Credo che sia importante sostenere le famiglie giovani a stare nella relazione, soprattutto corporea, con i figli. Nessuno si cura di una coppia di genitori che hanno appena avuto un figlio: ci si aspetta che la nascita di un figlio sia gestibile nel modo più naturale possibile. Ma oggi non è così: un figlio appena nato crea molta ansia che non trova contenimento né nelle relazioni intime né nelle istituzioni sociali”, dice Margherita Spagnuolo Lobb.


L’APPROCCIO SBAGLIATO - I genitori possono capire che un figlio ha un approccio sbagliato verso l’altro? “Certo, e spesso si accorgono che c'è qualcosa di strano nel comportamento dei figli. Il punto è che i figli hanno strumenti dialettici migliori dei loro, con cui si trincerano dietro il silenzio. Così i genitori restano incastrati tra il desiderio di lasciare liberi i figli e avere fiducia in loro e il senso di impotenza nel raggiungerli”, replica la psicoterapeuta. “Sarebbe auspicabile creare degli spazi di dialogo tra i genitori e altri spazi di dialogo tra gli adolescenti. Tutti i genitori vogliono essere capaci di dialogare con i propri figli e di esprimere loro l'affetto, e tutti gli adolescenti vorrebbero essere riconosciuti dai genitori nella propria ‘bellezza’, nel proprio desiderio di essere qualcuno nella società. Società che deve aiutarli mettendo a disposizione esperti, psicologi, psicoterapeuti, che possano favorire innanzitutto l'ascolto di se stessi e poi la capacità di entrare in relazione e di rispettare l'altro”, conclude.