Roma - Dal 30 aprile fino al 13 settembre il Palazzo delle Esposizioni di Roma ospita la mostra di David La Chapelle “Dopo il Diluvio” a cura di Gianni Mercurio. Esposte 150 opere, alcune presentate per la prima volta in un museo.

Appena superato l’ingresso del Palazzo delle Esposizioni si viene catapultati nel visionario mondo di David La Chapelle. Le prime immagini che si propongono allo spettatore sono corpi fluttuanti nell’acqua definiti “ I Risvegliati” dall’autore, sospesi tra la vita e la morte. Diversi soggetti posano con le membra molli nel liquido “embrionale”: donne comuni, persone in avanzato stato d’età. Chi colto nella disperazione, chi nell’abbandono, chi nella paura. Diversi stati d’animo si alternano. Sono “Abigall”, Abram”, “Ruth” e “Hannah”. Nell’androne comunque a farla da padrone  è “Dopo il Diluvio” che da’ il nome all’intera mostra.

   


Tutto ebbe iniziò nel viaggio che David la Chapelle intraprese a Roma nel lontano 2006. Qui rimase folgorato dai capolavori dell’ arte rinascimentale e in particolare dall’opera michelangiolesca della Cappella Sistina che diede avvio al suo nuovo e ambizioso lavoro. Pensare che farà strada nelle principali riviste di moda come “Vogue” e “Vanity Fair” ma sarà grazie al sostegno di Andy Wharol che inizierà la sua carriera, esordendo per la rivista “Interview Magazine” all’inizio degli anni ’80. Realizzerà video di artisti dello star business per citare solo un nome: Ryhanna.  Il 2006 è soprattutto l’anno del cambiamento in cui dice addio a tutto questo per  intraprendere un’opera destinata solo ai musei e alle gallerie d’arte.

In “Dopo Diluvio”, tutto è ignobilmente sommerso dall’acqua “purificatrice”.  Gente spaventata che tenta di salvarsi, un traliccio dell’alta tensione piegato bruscamente, una macchina sommersa di cui si vede solo il tettuccio. Tutto assume una staticità tragica in  uno scenario architettato come un buon maestro del ‘500,  qui però è rappresentata  gente del nostro tempo che si aggrappa alla vita e il sacro e il profano si intrecciano indissolubilmente. Spesso la sua opera inscena l’edonismo venato di vuota aurea mistica.  Richiami storici commisti a volgarità del nostro tempo.


Ma in La Chapelle oltre all’idea di abbracciare un’arte per “tutti”, c’è una vera e propria ricerca interiore.  Dirà: “Mi piace l’idea che sia arte per il mondo intero piuttosto che per pochi”.  In quest’ultimo lavoro emerge il concetto mai sopito dell’uomo dalla notte dei tempi: la catastrofe, il declino di una civiltà avvinghiata ai beni materiali. La sua opera emana la disfatta dell’umanità. In “Seismic Shift” è ritratta la scena del Paul Kasmin Gallery  dopo una devastante scossa di terremoto. E’  sempre l’acqua a invadere tutto, una Range Rover sfonda il vetro dal quale filtra liquame nero, un modellino del corpo umano che mostra tendini e muscoli, uno squalo chiuso in una teca, giocattoli di bambini sparsi in una realtà surreale, sono richiami all’arte contemporanea da Andy Warhol  a Barbara Kruger a Takashi Murakami.


Salendo la scalinata sulla parete di fronte troviamo, “Rape of Africa”: scena con un’inquadratura stretta tra due figure. Una inconfondibile Naomi Campbell che guarda allo spettatore, contrapposta alla posa lasciva e abbandonata di un modello bianco dai lineamenti perfetti. Tutto intorno: lusso sfrenato che non serve più a nessuno. Bambini come puttini moderni neri tengono in mano armi; sulla parete sfondata alle loro spalle un paesaggio desolante con ruspe come un segno di un progresso arrestato dalla furia incombente di distruzione, rimangono a testimoniare il benessere perso.

 


Arrivati alla seconda sala il percorso espositivo si fa più serrato e asseconda armonicamente  la struttura concentrica delimitata da una balaustra, elemento di raccordo che porta alle altre sale. In questo spazio di un biancore immacolato sono esposte immagini dal forte impatto visivo: “Gaia”, “Trasfusione” , “Bellevue”. Nella prima una donna agonizzante a gambe divaricate rappresenta la madre terra sofferente; nella seconda: un uomo immerso in una giungla di notte è percorso da tanti tubicini per la trasfusione, un bagliore di una luce irrompe nella notte, e nella terza sempre in un panorama bucolico in pieno giorno stavolta un uomo anoressico è seduto su un lettino d’ospedale con flaconi di farmaci buttati a terra. A fare da contraltare tre donne tra cui Amanda Lepore la famosa transessuale, che ritorna spesso nell’opera di La Chapell, vestite come delle dark queen che mostrano i seni prosperosi. I colori sfavillanti rendono più godibili queste foto dal forte impatto emotivo.

 

 
Sono qui riproposti anche i vecchi lavori dell’artista realizzati tra il 1995 e il 2005. Immagini dell’Arcangelo “Michael”, ossia il re del pop che sconfigge un demone e ancora le due versioni della Pietà con Courtney Love che tiene tra le braccia l’attore che veste i panni di Kart Cobain, e un Gesù invece che tiene in grembo la pop star Michael Jackson.  Gesù torna prepotentemente anche in altre opere  per salvare i peccatori  in periferie con rap neri, in case squallide con anziani morenti o in aiuto di una prostituta.

 

 

Un’attenzione particolare va riservata alla sala che espone la ricostruzione di industrie e impianti nucleari fatti con bottigliette, bigodini, cannucce. Nel video al secondo piano della mostra si possono vedere i set fotografici e scoprire cosa si nasconde dietro il lavoro di La Chapelle. I paesaggi delle “fabbriche” sono tutti rigorosamente reali. Dal mare, alle distese aride con montagne brulle, fiumi, laghi. Sul posto vengono portati i “modellini” e con un folto team ed una tecnologia high tech a disposizione si realizzano gli scatti.

“Autoritratto come casa” è un’immagine che seziona una casa che mostra i peccati e le virtù dei singoli inquilini: da un’obesa a un’anoressica; a uomini in una lotta fratricida; da una donna che prega dal cui crocifisso si proietta un fascio di luce a un’altra donna anziana abbracciata da un cigno. Sulla soffitta giacciono giochi dell’infanzia..

 


Opere provocatorie e kitch, quanto spassose sono anch’esse riproposte: “ le lattaie”, dal seno di una donna parte una spruzzata di latte che finisce nella tazza coi cereali dell’altra donna colta in un’espressione da scolara lolita indignata; “Dipendenza dai diamanti” con una donna intenta a sniffare dei diamanti; “Mercato della carne” dove una modella è distesa dentro il frigo di una macelleria e una “Amanda come Marylin” richiamo esplicito al maestro Andy Warhol.  

E poi ancora le pompe di benzina come reperti archeologici “Inca” immersi in una fitta vegetazione a testimonianza della nostra civiltà e le inquietanti maschere: da Ronald Reagan a Bill Clinton, fatte in mille pezzi; a quelle degli attori da Heat Ledger a Orlando Bloom.

 

 

E’ una mostra ricca di contenuti, un concentrato di opere che sfidano le normali concezioni che danno allo sguardo una prospettiva nuova dove i colori, le composizioni, le invenzioni si irradiano in un vasto universo. Dove si può incorrere in riflessioni attente e mai buttate senza una pregnanza di significato anche laddove si potrebbe cadere nell’affrettata analisi critica. Basta ascoltare le parole di David La Chapelle per rendersi effettivamente conto della mole di un lavoro fatto con un attento interesse: “Realizzo delle foto nelle quali credo veramente” sostiene

 
“Per me la  natura è dove trovo la verità, dove mi sento più vicino a Dio”. Insomma è impossibile restare  indifferenti di fronte alle opere di questo grande artista contemporaneo, può piacere o meno come è insito nelle opere d’avanguardia trasmettere emozioni contrastanti. Certo è che lascerà un segno indelebile nell’arte del nostro tempo che si trasmetterà ai posteri.