Roma - Fernanda Romagnoli (1916-1986) è una delle poetesse più grandi e più coraggiose del Novecento. Ammirata da nomi come Attilio Bertolucci, Carlo Betocchi (con cui ebbe un intenso rapporto epistolare) e Vittorio Sereni, da molti anni però è ingiustamente trascurata, poco presente all'attenzione dell'opinione generale e soprattutto della comunità e della critica letteraria e poetica.

Per fortuna una recente pubblicazione mette fine a questo lungo periodo di oblio e ne inaugura un altro che si preannuncia ricco di scoperte folgoranti e di sensazioni inattese: “La folle tentazione dell'eterno” (InternoPoesia), a cura di Paolo Lagazzi e della figlia Caterina Raganella, con una Nota critica di Laura Toppan e Ambra Zorat.

Il libro raccoglie quasi tutta la produzione lirica di Fernanda Romagnoli, che, viva l'autrice, consta di soli quattro titoli editi fra il 1943 e il 1980: “Capriccio”, “Berretto rosso”, “Confiteor” e “Il tredicesimo invitato”. Una poesia attraversata da un forte sentimento della natura, dall'esperienza mistica e tragica della vita che si scioglie lentamente e inesorabile fra le dita, dalla ricerca dell'assoluto, spesso difficile e tortuosa ma anche ricca di svelamenti e illuminazioni. Una poesia che sa essere profondamente drammatica ma che al tempo stesso sa cogliere l'essenza magnifica ed esasperante del creato. Una poesia personalissima, originale, coinvolgente, fortemente visionaria e allegorica. La potenza della passione e le spirali del dolore guidano Fernanda Romagnoli verso i territori di una grande intensità lirica: i dubbi e il dolore, il pathos e le dissonanze interiori, fanno un tutt'uno quando il suo sguardo poetico si accende e si posa sul mondo. Tutta la sua opera poetica, segnata dalla vedovanza e dalla malattia, è un appuntamento con il mistero: fra la creatura, il creato e il Creatore. La poesia è per lei bussola e perdita, ma anche condanna e redenzione. 

Gianni Maritati, scrittore e giornalista